Dal viaggio di Luigi Nacci nella Spagna più spopolata

Tre frammenti dal diario di Luigi

Oggi, per la prima volta, al diciassettesimo giorno, ho incontrato un viandante sul sentiero. Una viandante di giornata, ma è pur qualcosa. Il suo “hola” mi ha fatto compagnia per molte ore.
Sto costruendo un cammino per sognatori diurni. Per amanti dei silenzi e delle solitudini, per seguaci dei mulini a vento, per creature che tremano sull’orlo e che tremando cercano la propria strada.
Una via di circa 800 km in una delle zone più spopolate d’Europa. Ho iniziato a progettarla e percorrerla alcuni anni fa, poi è arrivata la pandemia e ho dovuto interrompermi. Nei mesi di clausura però ho continuato a studiarla sulle mappe, a leggere libri e articoli, soprattutto a sognarla giorno e notte. Farlo mi ha tenuto su. Ha aperto brecce nei muri della mia casa.
Ora che sono qui, in mezzo al nulla, senza umani a cui parlare, mi sento come un bambino. Ogni inciampo una scoperta. Occhi che strabuzzano. Mi sento accolto dalla natura e dagli esseri che la abitano. E quando barcollo sotto il sole e gli avvoltoi girano sulla mia testa rido forte. Perché sto realizzando il piccolo sogno che ho costruito piano piano. Che riesca a portarlo a termine cosa importa? La vita cresce nei tentativi, lì si fa più densa. So che nessuna quarantena potrà mai distruggere la mia voglia di sognare a occhi aperti.
Credo che tutti dovrebbero provare a costruire il proprio sogno, piccolo, grande o impossibile che sia. Che ai giovani dovremmo proprio dire: sognate più che potete! Sognate più di quanto abbiamo sognato noi.

Capita, mentre te ne vai in giro per il mondo con uno zaino, che qualcuno ti guardi male. Lo vedi nitidamente in certi sguardi: ecco l’ennesimo pezzente. L’altro giorno per esempio: pueblo, plaza, io seduto su una panchina che mi tolgo i sassi dagli scarponi, sudato, maleodorante, lercio. Un signore posteggia, esce dalla macchina, fa pochi passi verso il bar, mi guarda, esita, mi seziona, torna indietro e controlla di avere chiuso bene tutte le portiere. Sapete che c’è? Che io non mi arrabbio. Non ho alcuna reputazione da difendere. Nessun biglietto da visita da esibire. Cammino proprio per dimenticare chi penso di essere. Ci avete mai provato? È liberatorio, è terribilmente umano.

È stato un mese lungo quanto un anno. Uno dei più vivi della mia vita. Quasi 800 km tra campi, canyon, montagne, boschi, deserti, il mio zaino ed io, felici e selvatici tra gli animali selvatici, lontani da ogni rumore, dalle parole inutili. Forse ne nascerà un cammino per sognatori diurni, forse un libro per lettori dei margini - se sarò in grado, non ne sono certo, mi impegnerò. So che sarà durissima tornare a casa dopo un’esperienza del genere. Ecco perché ho preso un autobus e sono andato a Madrid, a mettermi nel caos: anche se ti fa male, camminaci, mi sono detto. E ho camminato. Con gli occhi semichiusi, frastornato, per caso sono entrato in un giardino. Era la biblioteca nazionale, non me ne ero accorto stordito come ero. Cercavo una panchina, invece ho trovato lui ad aspettarmi: Machado. Il mentore. I suoi versi mi hanno sostenuto nell’austerità dei campi di grano. Come bordoni. Ritrovarlo nel caos mi ha dato pace e forza. Così sono ripartito dal centro di Madrid, diretto a piedi a un luogo simbolico che concluderà a breve il mio viaggio. Se prima attraversavo terre con un abitante a km quadrato, ora sono mille. Prima i grifoni, i caprioli e i cervi, ora i suv, le urbanizaciones e le videocamere di sorveglianza. Prima un bar ogni trenta chilometri, ora ogni trenta metri. Ma è molto più ostico ora il cammino. Ed è qui probabilmente che si manifesta con maggiore evidenza il dirupo che separa il cammino e il trekking. La vacanza e il viaggio all’ennesima potenza. Andare a piedi per il mondo coltivando, a ogni passo, la nostalgia del mondo.

Luigi Nacci

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Luigi Nacci
30 agosto 2021