Né vincitori, né vinti

Perdi un cosa al giorno. Accetta il maldestro
di chiavi perdute, di un’ora insipiente.
Perdere è un’arte e non vuole maestro.

Poi prova a perdere ancora, perdere presto:
i luoghi e i nomi, una meta imminente
e niente di ciò ti sembrerà un disastro.

Elizabeth Bishop, Un’arte*

Luigi Nacci
30 juin 2015

Fin da ragazzo ho sempre parteggiato per gli sconfitti. Erano i bambini che restavano da soli nel giardino dell’asilo, con cui nessuno voleva giocare. Erano troppo grassi o troppo esili, erano troppo piccoli o troppo grandi rispetto ai loro coetanei, erano, da qualsiasi angolazione li volessi o li potessi osservare, troppo. Crescendo, quei bambini diventavano ragazzi vestiti diversamente dagli altri, vestiti scuri in cui tentavano di scomparire, vestiti di taglie sbagliate, indossati goffamente, vestiti-armature con cui difendersi dalle stoccate dei normodotati, dei superdotati, dei dotati di destini fulgidi, dei vittoriosi.

Cominciai a dividere il mondo in vincitori e vinti. All’inizio la divisione mi pareva netta. Poi, con gli anni, iniziai ad avere difficoltà a tracciare la linea con convinzione. I vittoriosi erano tutti vincenti? O c’erano delle differenze? Si poteva vincere senza farsi imbrigliare dalla vittoria? E dall’altra parte, erano i perdenti tutti degli sconfitti? Si poteva perdere senza farsi imbrigliare dalla sconfitta, senza crogiolarsi in essa? Le domande si aggiunsero via via: si poteva vincere, pur perdendo? Si poteva perdere, perdersi, vincendo? E quelli che, dopo centinaia di sconfitte, si ritrovavano a vincere, nell’atto della proclamazione che cosa pensavano, in che cosa si trasformavano?

La poesia mi parve la strada su cui mettermi per rispondere a quelle domande. Tuttavia mi accorsi ben presto che non risposte, ma nuove domande mi forniva. E tempo dopo, mettendomi in cammino, cioè nella poesia all’ennesima potenza, le domande presero a sbucare da ogni fosso, a intrufolarsi nello zaino, ad emergere dagli stagni, a cadere dal cielo, a venirmi incontro sul sentiero, come viandanti veri e propri. Oggi, dopo anni di viandanze, so che devo fare spazio nello zaino per le domande che troverò (che mi troveranno). Ecco perché il mio zaino è sempre troppo grande, troppo ingombrante, da qualsiasi angolazione lo guardiate, è troppo [...]

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